Novembre 2004.
Circa dodici anni fa, durante un convegno ad Abano Terme, mi sono ritrovato in una di quelle situazioni tragicomiche che lasciano per sempre un segno indelebile. Hai presente quando si incrociano quelle due o tre cosette statisticamente improbabili? Sei costretto a pensare “Ecco, questa volta sono fritto”.
Da sempre ho pensato di essere un imbranato, di non essere fatto per dire qualcosa davanti ad un pubblico. Per essere più precisi, questa idea è nata mentre frequentavo la prima media. Qualcuno aveva spifferato al Prof. di Matematica che io ero piuttosto attratto da una mia compagna di classe. Lui, simpaticamente, mi impose di cantare una canzone davanti a tutti, dedicandola a lei. Alle mie resistenze tutta la classe rispose ululando, attivando nel Prof. di Matematica una primordiale eccitazione per via della carneficina che, di li a poco, si sarebbe consumata. Lui, pupille dilatate e fiato corto, insistette. Io alla fine accettai, seppur dolorosamente. Sapevo di avere poche speranze con questa ragazza, quindi decisi di giocarmi questa carta. Inoltre il piccolo pavone che già albergava dentro me schiuse la coda. E cosa può fare un pavone di fronte ad un branco di cani ululanti?
Ovviamente cantare Adesso tu, di Eros Ramazzotti, successone dell’anno 1986. Senza base musicale. Ventidue persone ammutolite, la ventitreesima che piange per l’imbarazzo, e in cattedra l’aguzzino che mi osserva famelico. Questa fu la mia prima esposizione in pubblico.
Con la forza della disperazione cantai fino all’ultima sillaba cercando di stare a tempo. Non ottenni il trionfo sperato: da quel momento la ragazza smise di salutarmi (ancora oggi, dopo 30 anni, mi saluta a fatica), e i compagni di classe mi presero in giro nei tre anni successivi. Da quel giorno, inoltre, iniziai a temere qualsiasi forma di esibizione. Le interrogazioni divennero un incubo, con risultati spesso scadenti a causa dell’ansia. In quinta superiore accettai l’incarico di Rappresentante d’Istituto, ma maledissi quasi subito la mia coda da pavone. Le cose andarono lievemente meglio all’Università: gli esami orali sono sempre stati difficili da affrontare (sentivo sulla schiena gli occhi degli altri studenti), ma lavoravo per mantenermi, per cui non potevo permettermi di saltare gli esami. Vogliamo parlare anche del giorno in cui ho discusso la tesi? (per la cronaca, il 27 giugno 2000).
Molte persone con cui ho lavorato in questi anni mi hanno detto la stessa cosa: “Pensavo che dopo la Laurea non sarei più stato costretto ad espormi in pubblico”. Purtroppo, come tutti sappiamo bene, le cose non stanno così. E così eccomi ad Abano Terme, Novembre 2004, ad un Convegno in cui dovrò presentare i dati di una ricerca svolta nel reparto di Neurologia (dove ho lavorato fino al 2005). Tensione alle stelle.
Divide et impera…
Oggi ad un mio cliente farei fare una black list, ovvero un elenco di tutti i problemi legati a questo specifico contesto di Public Speaking. Puoi provare anche tu: prima di fare la tua presentazione, scrivi su un foglio quali sono le cose che ti fanno paura. Cerca di gerarchizzarle, mettendo al primo posto la peggiore. Per aiutarti, prova ad attribuire un numero da 0 (= nessuna emozione) a 100 (= panico). Cosa ti mette più ansia?
Fai una lista, poi accendi i motori
Io, nel 2004, avrei compilato la seguente lista:
- Unico Psicologo in mezzo a centinaia di Neurologi: rischio domanda specifica a cui non so rispondere (ansia: 90).
- In sala molti stranieri: rischio domanda in inglese (ansia: 85).
- Tra il pubblico anche il mio Responsabile: se faccio una figuraccia non mi rinnoverà la borsa di ricerca (ansia: 70).
- Seduta in prima fila una donna meravigliosa, una Psicologa conosciuta la settimana prima ad altro convegno (ansia: 60).
A cosa servono le liste? Scrivere ti permette di vedere nero su bianco tutti i contorni del mostro. Se non lo fai, percepirai il contesto come totalmente pauroso. I contesti, invece, sono ricchi di sfaccettature. Alcune fanno più paura di altre. Avrai di certo sentito la locuzione latina Divide et impera, che significa “dividi e comanda”. Prendi un popolo, dividilo fomentando la rivalità tra le fazioni, e lo governerai facilmente. Al contrario, l’unificazione delle genti ne aumenta esponenzialmente la forza e la pericolosità. Se ci pensi, nel corso degli anni hai usato questa tecnica decine di volte: hai risolto problemi matematici complessi, come gli integrali, suddividendoli in piccole parti. Hai studiato libri interi, ma un paragrafo alla volta. L’uomo costruisce palazzi, ripara motori, trapianta organi e spedisce topi nello spazio (si, hai capito bene, schifosissimi topi dentro un razzo. Speriamo serva a toglierli tutti di mezzo una volta per tutte) grazie a questa meravigliosa capacità di frazionare un problema.
Più la lista è dettagliata, meglio è. E’ come mangiare un pezzo di torrone: se è troppo grande non riesci nemmeno a muovere la bocca, meglio fare dei bocconcini piccoli. La mia lista non è il massimo, in quanto divisa solo in 4 parti. Ora, seppur con pesi specifici diversi, ogni parte rappresenta il 25% del bagaglio d’ansia relativo al contesto “relazione al convegno di Abano Terme”. Se si riuscisse ad eliminarne una (a “zittirla” temporaneamente) la preoccupazione calerebbe dal 100 al 75. Non impazziresti dalla gioia, lo so, ma sarebbe già qualcosa. Per questo è meglio avere liste molto dettagliate.
Ma attento a non cadere nella trappola: sei arrivato a questo punto del post sperando di trovare la ricetta per eliminare l’ansia da Public Speaking. Devo deluderti: non esiste nessuna formula magica. Un minimo di tensione non solo è normale, ma è pure necessaria. Si chiama Legge di Yerkes-Dodson, datata 1908. Ebbene si, l’ansia può essere utile ma solo se non supera certi livelli, altrimenti influisce negativamente sulla performance. Anche se può sembrarti strano, quando sei un po’ nervoso il tuo cervello accende i motori, l’attenzione è al massimo e sei motivato a raggiungere l’obiettivo. Pretendere di affrontare un pubblico senza avvertire un minimo di tensione è come sperare di vincere una gara a motori spenti. Chiaro, questo significa anche imparare ad amministrare la benzina e le gomme per arrivare al traguardo. Quindi il secondo consiglio che ti do (il primo era fare una lista…) è: affronta la presentazione con i motori accesi.
Non mi sento pronto.
Se soffri di Public Speaking Anxiety (ovvero l’ansia di parlare in pubblico, che per brevità chiameremo PSA, in onore della prostata) probabilmente quando si avvicina il momento di fare la presentazione nel tuo cervello spunta un pensiero: “non mi sento pronto al 100%”. Torna un attimo sulla mia lista. Il primo item “rischio domanda specifica a cui non so rispondere” è la conseguenza del pensiero “non mi sento abbastanza pronto per affrontare un pubblico formato da professionisti più preparati di me”. La ricerca che dovevo presentare era zeppa di contenuti neurologici, non solo psicologici. Quindi effettivamente molte cose non le sapevo. Avrei potuto studiarle? Si, alla grande. Mi sarei potuto preparare meglio? Si, alla grande. Negli ultimi 10 anni ho aiutato un centinaio di persone con PSA. In quasi tutti i casi, la preparazione non ottimale era la causa dell’ansia. Se devi affrontare una riunione o una conferenza e ti senti molto a disagio, inizia a chiederti in modo onesto: “Ma sono davvero pronto al 100%?”
Non esiste nessuna formula magica
Non hai avuto tempo per preparare bene la presentazione? Ecco, allora il problema vero è questo, e purtroppo devi accettarne le conseguenze. Il terzo consiglio che voglio darti è: quando pensi di non essere pronto al 100% organizza il tempo che ti rimane cercando di studiare il più possibile. Non ci sono scuse: se fai il tuo dovere l’ansia diminuisce (non passa, ricorda, meglio avere i motori accesi). Le presentazioni efficaci sono quelle pianificate attentamente: ti sentirai meno nervoso se dedichi del tempo a scrivere e ad organizzare il discorso. Se all’epoca io avessi studiato meglio l’inglese, probabilmente l’item 2 della lista avrebbe avuto meno peso specifico. Una cosa che funziona sempre: provare la presentazione davanti alla nonna. Lei non capirà un tubo, ma ti sorriderà, ti dirà che sei un fico pazzesco, e questo ti darà un sacco di carica positiva.
Attenzione agli imprevisti.
Ci troviamo nel Paleolitico. Ti sei allontanato dalla tua palafitta in cerca di cibo, non ti sei mai spinto fin qui. Tra gli alberi scorgi più in basso l’acquitrino familiare e i tetti delle altre capanne. Non ti hanno ancora inventato Google Maps, per cui cerchi di mantenere la direzione guardando il sole. Probabilmente alcune aree corticali, nel cervello, non si sono ancora sviluppate, quindi orientarti è davvero molto faticoso. Il Pollicino preistorico che è in te ti suggerisce di spezzare alcuni rami, per ricordarti meglio il passaggio nel ritorno. Sempre se riesci a tornare vivo, cosa per nulla scontata. Come ti senti? Uno schifo, soprattutto se questa è la prima volta che ti allontani da solo. Sai che ti possono capitare degli imprevisti, ma non riesci ad immaginarti quali. L’ansia quindi è alle stelle. La prima volta è sempre la prima volta: la prima interrogazione, il primo giorno di lavoro, la prima volta che fai l’amore, la tua prima presentazione davanti a delle persone. Contesti nuovi, di cui non comprendi ancora i probabili imprevisti. Quarto consiglio: cerca di fare più esperienza possibile, e quindi non evitare occasioni di Public Speaking, anche se ti sembrano di poco conto. Lasciati alle spalle la “prima volta” il prima possibile.
Torniamo ad Abano. Sta parlando un giovane neurologo, poi tocca a me. Osservo il pubblico. Sembrano tutte brave persone, visi distesi, sguardi amichevoli. Forse ho esagerato, dopotutto il contesto è tranquillo.
Mi sento già molto meglio.
Se non fosse che le brave persone attorno a me improvvisamente iniziano a fischiare e a lanciare le loro Bic verso il povero neurologo, lapidato, che rosso e piangente interrompe la presentazione e abbandona la sala.
Oddio. Sono fritto, ho pensato.
Dov’è l’uscita? Me ne voglio andare.
“E ora un intervento del Dottor Daniel Bulla, ricercatore dell’Istituto Auxologico Italiano“, annuncia il moderatore.
Ricorderò sempre le gambe molli mentre cercavo di salire prima la scaletta del palco e poi quella del pulpito (altezza totale da terra = 4 metri). Davanti a me oltre 600 paia di occhi nemici, pronti a lapidarmi al primo passo falso.
E non dimenticherò l’emozione nel vedere, in prima fila, il paio di occhi n°601. La mia futura moglie.
(Ok, ora un bel respiro).
(Motori accesi).
(Prima slide).