Centinaia di studi in tema “psychological well-being” hanno chiarito negli ultimi anni il legame tra qualità di una relazione e felicità. Dentro e fuori il lavoro. Una conversazione soddisfacente in ufficio è in grado di cambiarti la giornata: ti senti contento, orgoglioso, pieno zeppo di fiducia e motivazione. Questo accade perché il nostro cervello è costantemente alla ricerca di conferme sociali: ricerchiamo affinità, e vicinanza, e vogliamo sentirci parte del gruppo.

Siamo programmati per restare connessi gli uni agli altri. Come dice lo psicologo Matthew Lieberman nel suo libro datato 2013 Social: why our brains are wired to connect:

our need to connect with other people is even more fundamental, more basic, than our need for food or shelter

Il cervello è sempre lì a pensare agli altri: ai vicini, ai colleghi, alla morosa, ai figli, alla moglie, al marito, alla nonna, al capo. Un’infinita telenovela mentale, fatta di elucubrazioni emotivo-relazionali costanti. Facci caso: sei sempre concentrato su qualcuno con cui sei in connessione o con cui vorresti connetterti.

Io lo so, tu lo sai, lo sappiamo tutti.

Eppure.

La storia di Mattia.

Eppure il mio telefono continua a suonare sempre per gli stessi motivi: i problemi relazionali. La gente si massacra dalla mattina alla sera, altro che connessione sociale, altro che comunicazione assertiva. Chissenefrega del conflict management: appena posso ti faccio lo sgambetto, pensi guardando quella faccia da scorfano del tuo collega.

Tutto dipende da cosa ti aspetti da un’interazione. Il tuo cervello si basa proprio su questa aspettativa, e seleziona le informazioni che la confermano, eliminando quelle contrarie. Una sorta di filtro.

Pensi che i colleghi siano tuoi concorrenti? Benissimo, significa che ti aspetti una relazione con loro basata non sulla fiducia, ma sul sospetto, sulla tensione e quindi sul conflitto. Vuoi difenderti dai tuoi colleghi. E lì il filtro parte subito: finisci per vedere solo una serie di conferme alla tua ipotesi. Il resto rimane nascosto, l’hai filtrato.

E’ proprio quello che succedeva a Mattia, un trentanovenne a capo di una piccola società di consulenza informatica. Super preparato, super intelligente, sempre sorridente. Mi ha contattato per via delle continue tensioni tra lui e i clienti, che negli ultimi 4 anni gli hanno causato diverse perdite sul fatturato. La goccia che ha fatto traboccare il vaso: un contratto saltato all’ultimo secondo. Per via di alcune incomprensioni col CEO, mi ha detto.

Dai nostri colloqui emerge che Mattia da sempre sente dentro sé il bisogno di dimostrare agli altri il proprio valore e la propria preparazione. Il problema è che ha scelto il modo sbagliato per far vedere quanto lui è bravo: sottolineare quanto gli altri non lo sono. Insomma, chi non vorrebbe collaborare con un simpaticone così?

L’intenzione comunicativa di Mattia (“ti sottolineo le lacune macroscopiche della tua azienda e/o della tua gestione, così ti affiderai a noi per sistemare tutto”) lo portano spesso a non riconoscere certi segnali non verbali, del tipo “Hai rotto le palle, Mattia” che spesso i suoi clienti hanno scritto in fronte mentre lo guardano a bocca aperta.

Casomai ti fossi perso:

a)    Mattia parte da una motivazione corretta (“Io posso aiutare i miei clienti”)

b)    utilizzando però l’intenzione comunicativa errata (“Siete messi male, avete bisogno di me”)

c)    che influisce sul suo (di Mattia) comportamento non verbale, soprattutto quando ti guarda con quella faccia che sembra dire “Ma voi non avete capito una mazza, branco di sfigati”

Hai rotto le palle, Mattia.

Modificare l’intenzione comunicativa.

Se anche tu vuoi eliminare il Mattia che c’è in te, inizia cambiando la modalità con cui setti la comunicazione ogni volta che entri in ufficio (o a casa, a scuola, ecc.).

Prova applicando questi tre passi.

Inizia a riconoscere il Mattia che si nasconde dentro di te.

Non sarà per nulla facile, ma se non passi da qui tutto il resto non funzionerà. Guardati dentro: sei convinto di saperla lunga, di essere il migliore, di aver raggiunto questo livello di conoscenza e preparazione attraverso anni di sacrifici. Ti sei proprio fatto il mazzo, diciamocelo. Hai però la netta sensazione che gli altri si siano impegnati di meno, oppure che non ci arrivino proprio, non ce la fanno a vedere fin dove vedi tu. Senti che tu puoi cambiare le cose, puoi aiutarli illuminando loro la strada, perché in fin dei conti la torcia ce l’hai tu, giusto? Cosa c’è di male ad aiutare il prossimo illuminandogli la via?

Eccolo lì il tuo Mattia interiore. Bloccalo subito. Non permettergli nemmeno per un secondo di influire sul modo in cui guardi e parli. Diglielo che ha proprio rotto le palle.

Imposta l’obiettivo comunicativo in ottica collaborativa.

Devi cambiare la modalità con cui ti approcci: settala sulla collaborazione. Le domande che devi porti:

  • Come posso facilitare la nostra conversazione?
  • Riesco a mettere gli altri a proprio agio?
  • Come posso comunicare il mio desiderio di collaborare senza sembrare Mattia?
  • Come posso aiutare il mio interlocutore a fidarsi umanamente (prima di tutto) di me?
  • Possiamo cercare di ottenere una soluzione condivisa?

Controlla le tue aspettative negative.

Ognuno di noi si aspetta qualcosa dagli altri, e questo qualcosa non sempre è positivo. Bene. Devi stare molto attento, e fare un bel check di tutte le aspettative negative che hai nei confronti del tuo interlocutore, perché influiranno sul modo in cui affronterai la conversazione.

Al contrario, prova a focalizzarti su una caratteristica positiva dell’altro. Per esempio, potresti passare dall’aspettativa negativa “mi toccherà spiegargli tutto almeno un paio di volte a questo somaro” a quella positiva “devo sforzarmi di essere il più possibile chiaro per agevolare l’altro nella comprensione”.

Il focus quindi è su di te: rimani concentrato sempre sui tuoi obiettivi, e pensa un po’ meno alle battaglie, perché più ci pensi più le perdi.

Ma il focus è su di te, non perderti di vista.

Impostare una intenzione comunicativa positiva, basata sull’agevolare l’altro durante l’interazione anziché sul rinforzare la tua autostima, permetterà al tuo linguaggio non verbale di fare il resto. Se dentro di te coltivi qualcosa di positivo, i tuoi occhi lo comunicheranno immediatamente, assumerai spontaneamente una posizione più aperta e centrata sulla costruzione di un rapporto basato sulla fiducia e sulla collaborazione. Il bello è che i risultati li vedrai immediatamente.

Ma stai attento a non cadere nella solita vecchia trappola.

Come dici? Quale la vecchia trappola?

Mattia hai rotto davvero le palle.